Recensione del libro “Contro la povertà” di Ranci Ortigosa a cura di Chiara Somarè
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Emanuele Ranci Ortigosa ha affrontato il tema della povertà e della sua crescita in Italia, rilevando come si sia raggiunto un triste primato, nessun altro paese ha così tanti poveri come l’Italia ed il sistema di contrasto non è stato in grado di aiutare le persone che più avevano ed hanno bisogno. L’autore evidenzia anche come il tema della povertà non riguardi solo i poveri, ma l’intero Paese in quanto tutti ci impoveriamo con la perdita di “capitale sociale”. Il lavoro di Ranci Ortigosa si sviluppa mettendo in chiaro che la povertà dipende in primo luogo dal contesto nel quale si è nati, l’impegno e l’intelligenza contano fino ad un certo punto, perché le analisi statistiche dicono che non esiste un ascensore sociale, che l’organizzazione della nostra società, sia essa economica, sociale o istituzionale non riesce a costruire mobilità sociale come potrebbe. Il sistema è iniquo ed inefficace. L’autore chiarisce i contorni della povertà assoluta e di quella relativa e correla quest’ultima con il tema della disuguaglianza e della sua misura, dei suoi effetti sullo sviluppo del capitale umano e della possibilità per un paese di crescere economicamente, ovvero di distribuire benessere ai propri cittadini. I problemi affrontati hanno carattere strutturale, il modo in cui le forze politiche dovrebbero affrontare questi temi richiede coraggio, onestà intellettuale, lontananza da un approccio demagogico. Il numero delle famiglie in povertà relativa è stabile, non così per quelle in povertà assoluta, che sono triplicate negli anni della crisi. Lo studio analizza il livello e la distribuzione generale dei redditi in Italia, anche in una prospettiva storica, con brevi cenni che partono dal periodo post-unitario, fino a giungere al periodo attuale. L’analisi è svolta con riferimento all’area geografica, in riferimento al genere e all’età. Sempre più sono i bambini e i giovani ad essere in povertà, perché il nostro welfare tradizionale protegge gli anziani e quanti hanno una qualsiasi storia contributiva. E’ in ogni caso aumentato il rischio di impoverimento e questo disorienta la popolazione. Il raffronto con altri paesi comunitari evidenzia che in Italia l’impatto sociale della crisi è stato molto forte e i suoi effetti non si sono ancora conclusi. La situazione di povertà che vivono i genitori privano i figli di una adeguata possibilità di sviluppo ed incide sulle prospettive future di reddito. Non sono in gioco solo capacità cognitive, ma comportamentali, aumentando la mancanza di autodisciplina. L’analisi svolta mediante indicatori qualitativi e quantitativi mette in evidenza le nostre criticità, anche future. Misurazioni effettuate dall’Ocse hanno messo in evidenza come l’aumento delle disuguaglianze si ripercuota negativamente sulla crescita di medio-lungo periodo. Il loro aumento nel breve periodo nuoce alla crescita perché diminuisce la possibilità di consumo, nel medio lungo non consente l’accumulazione di capitale umano. Bisogna diminuire i casi di abbandono scolastico, aumentare le competenze alfabetiche e numeriche tra la popolazione più giovane. Gli strumenti di contrasto devono essere ben disegnati, perché il nostro sistema attuale è iniquo e inefficiente, dovrebbe focalizzarsi sui giovani e sulle famiglie con figli, avendo presente che non si tratta unicamente di integrare il reddito delle famiglie, ma di disegnare servizi sociali integrati tra i diversi gradi di competenze amministrative, tra organi centrali e periferici dello stato. La spesa pubblica destinata al settore non è marginale, è pari ad € 72 miliardi, finanziata totalmente dal prelievo fiscale. L’Italia continua a non avere una unica misura si integrazione del reddito insufficiente delle famiglie, ma più misure, senza alcuna ricomposizione tra esse. Tali misure hanno, ciascuna, diversità nell’entità dei finanziamenti, nell’accesso alla misura dei beneficiari, sono collegati alla storia lavorativa e alla condizione di reddito dei beneficiari. Hanno diverse entità di attribuzione del beneficio. Alcuni cumulano più benefici, i più poveri sono del tutto esclusi. Il 44% della popolazione più povera non riceve alcun beneficio. Oltre il 35% dei quasi 53 miliardi di euro delle prestazioni analizzate va alle famiglie dei cinque decili superiori, quelle che hanno l’Isee più elevato. Esistono sollecitazioni UE che spingono verso l’adozione di misure di “reddito minimo”, insieme di misure di contrasto alla povertà configurato su misura sui differenti sistemi assistenziali nazionali. Un insieme di interventi mirati ad offrire opportunità e sostegno alle famiglie povere, con servizi di formazione, educazione, tutela della salute ed altro. Misure che portino ad incrementare l’occupazione, che aiutino a risolvere il problema abitativo. Il sostegno deve essere continuo, per un periodo, rinnovabile, condizionato all’impegno di avviare il percorso di enpowerment più adatto alla singola famiglia. L’autore ripercorre la storia delle politiche sociali di contrasto dagli anni 80 al 2018. Fino all’anno 2012 il sostegno era connesso alla carriera lavorativa. Nel 2012 si è incominciato a perseguire l’obiettivo di far collaborare enti molto diversi tra loro, con scarso risultato. Dal 2015 al 2018 si sono cercate risorse e si è svolto l’iter legislativo per l’approvazione del reddito di inclusione, misura molto apprezzata dall’autore. Attualmente ha scarse risorse, ma la misura può essere implementata e riuscire ad allargare la copertura dei soggetti bisognosi. Si cerca di arrivare ad un riordino delle prestazioni assistenziali e di garantire l’effettività dei progetti territoriali di inserimento. La varietà delle proposte di ciascuna forza politica costituisce un grave pericolo. Di ripartire da zero, dissipando e disperdendo il cammino fatto sinora, sulla testa delle famiglie più povere, prima che il nuovo progetto possa essere approvato e poi applicato. L’autore confronta il REI con il Reddito di cittadinanza e con il Reddito di dignità. Attualmente il Rei non è ancora una misura adeguata di contrasto alla povertà, deve essere estesa a tutte le famiglie in povertà, la soglia di integrazione va implementata. Di positivo c’è che non è solo reddito, ma un progetto per l’autonomia, ove i servizi sociali territoriali condividono un percorso finalizzato all’inclusione sociale. Occorre che la nostra rete di servizi sociali esista e sia adeguata, in larga parte del paese non esiste. Un impegno importante, necessariamente graduale in quanto occorre formare gli operatori e le modalità di intervento dei soggetti che erogano i servizi. Il Reddito di cittadinanza prevede l’erogazione di una cifra fissa a tutti i cittadini, a prescindere dalla loro situazione reddituale e dalla volontà o possibilità di lavorare. Il finanziamento previsto dalla fiscalità generale. Insostenibile dal punto di vista finanziario. Crea un effetto disincentivante al lavoro causando al contempo una intollerabile pressione tributaria. Ai centri per l’impiego viene assegnata la funzione di controllo della condizionalità. Rispetto al Rei è molto più alto il livello di integrazione ed il sistema di calcolo per individuare i beneficiari. La proposta del Reddito di dignità è ampiamente indefinita. L’autore conclude osservando che gran parte del lavoro amministrativo sono stati costituiti per l’attuazione del Rei, in nessun paese l’integrazione al reddito copre il 100% dei potenziali beneficiari. L’implementazione delle misure dovrà essere necessariamente diluita nel tempo e gradualmente pervenire ad un sistema coerente che minimizzi gli sprechi e le distorsioni, riqualificando le precedenti misure assistenziali per ottenere il miglior contrasto alla povertà ed il sostegno alle famiglie.
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Last Updated: Giugno 12, 2020 by ELSA
Recensione del libro “Contro la povertà” di Ranci Ortigosa a cura di Chiara Somarè
Emanuele Ranci Ortigosa ha affrontato il tema della povertà e della sua crescita in Italia, rilevando come si sia raggiunto un triste primato, nessun altro paese ha così tanti poveri come l’Italia ed il sistema di contrasto non è stato in grado di aiutare le persone che più avevano ed hanno bisogno. L’autore evidenzia anche come il tema della povertà non riguardi solo i poveri, ma l’intero Paese in quanto tutti ci impoveriamo con la perdita di “capitale sociale”.
Il lavoro di Ranci Ortigosa si sviluppa mettendo in chiaro che la povertà dipende in primo luogo dal contesto nel quale si è nati, l’impegno e l’intelligenza contano fino ad un certo punto, perché le analisi statistiche dicono che non esiste un ascensore sociale, che l’organizzazione della nostra società, sia essa economica, sociale o istituzionale non riesce a costruire mobilità sociale come potrebbe. Il sistema è iniquo ed inefficace.
L’autore chiarisce i contorni della povertà assoluta e di quella relativa e correla quest’ultima con il tema della disuguaglianza e della sua misura, dei suoi effetti sullo sviluppo del capitale umano e della possibilità per un paese di crescere economicamente, ovvero di distribuire benessere ai propri cittadini.
I problemi affrontati hanno carattere strutturale, il modo in cui le forze politiche dovrebbero affrontare questi temi richiede coraggio, onestà intellettuale, lontananza da un approccio demagogico.
Il numero delle famiglie in povertà relativa è stabile, non così per quelle in povertà assoluta, che sono triplicate negli anni della crisi. Lo studio analizza il livello e la distribuzione generale dei redditi in Italia, anche in una prospettiva storica, con brevi cenni che partono dal periodo post-unitario, fino a giungere al periodo attuale. L’analisi è svolta con riferimento all’area geografica, in riferimento al genere e all’età.
Sempre più sono i bambini e i giovani ad essere in povertà, perché il nostro welfare tradizionale protegge gli anziani e quanti hanno una qualsiasi storia contributiva. E’ in ogni caso aumentato il rischio di impoverimento e questo disorienta la popolazione.
Il raffronto con altri paesi comunitari evidenzia che in Italia l’impatto sociale della crisi è stato molto forte e i suoi effetti non si sono ancora conclusi. La situazione di povertà che vivono i genitori privano i figli di una adeguata possibilità di sviluppo ed incide sulle prospettive future di reddito. Non sono in gioco solo capacità cognitive, ma comportamentali, aumentando la mancanza di autodisciplina.
L’analisi svolta mediante indicatori qualitativi e quantitativi mette in evidenza le nostre criticità, anche future.
Misurazioni effettuate dall’Ocse hanno messo in evidenza come l’aumento delle disuguaglianze si ripercuota negativamente sulla crescita di medio-lungo periodo. Il loro aumento nel breve periodo nuoce alla crescita perché diminuisce la possibilità di consumo, nel medio lungo non consente l’accumulazione di capitale umano.
Bisogna diminuire i casi di abbandono scolastico, aumentare le competenze alfabetiche e numeriche tra la popolazione più giovane. Gli strumenti di contrasto devono essere ben disegnati, perché il nostro sistema attuale è iniquo e inefficiente, dovrebbe focalizzarsi sui giovani e sulle famiglie con figli, avendo presente che non si tratta unicamente di integrare il reddito delle famiglie, ma di disegnare servizi sociali integrati tra i diversi gradi di
competenze amministrative, tra organi centrali e periferici dello stato.
La spesa pubblica destinata al settore non è marginale, è pari ad € 72 miliardi, finanziata totalmente dal prelievo fiscale. L’Italia continua a non avere una unica misura si integrazione del reddito insufficiente delle famiglie, ma più misure, senza alcuna ricomposizione tra esse. Tali misure hanno, ciascuna, diversità nell’entità dei finanziamenti, nell’accesso alla misura dei beneficiari, sono collegati alla storia lavorativa e alla condizione di reddito dei beneficiari. Hanno diverse entità di attribuzione del beneficio. Alcuni
cumulano più benefici, i più poveri sono del tutto esclusi. Il 44% della popolazione più povera non riceve alcun beneficio.
Oltre il 35% dei quasi 53 miliardi di euro delle prestazioni analizzate va alle famiglie dei cinque decili superiori, quelle che hanno l’Isee più elevato.
Esistono sollecitazioni UE che spingono verso l’adozione di misure di “reddito minimo”, insieme di misure di contrasto alla povertà configurato su misura sui differenti sistemi assistenziali nazionali. Un insieme di interventi mirati ad offrire opportunità e sostegno alle famiglie povere, con servizi di formazione, educazione, tutela della salute ed altro. Misure che portino ad incrementare l’occupazione, che aiutino a risolvere il problema abitativo. Il sostegno deve essere continuo, per un periodo, rinnovabile, condizionato all’impegno di avviare il percorso di enpowerment più adatto alla singola famiglia.
L’autore ripercorre la storia delle politiche sociali di contrasto dagli anni 80 al 2018. Fino all’anno 2012 il sostegno era connesso alla carriera lavorativa.
Nel 2012 si è incominciato a perseguire l’obiettivo di far collaborare enti molto diversi tra loro, con scarso risultato. Dal 2015 al 2018 si sono cercate risorse e si è svolto l’iter legislativo per l’approvazione del reddito di inclusione, misura molto apprezzata dall’autore. Attualmente ha scarse risorse, ma la misura può essere implementata e riuscire ad allargare la copertura dei soggetti bisognosi. Si cerca di arrivare ad un riordino delle prestazioni assistenziali e di garantire l’effettività dei progetti territoriali di inserimento.
La varietà delle proposte di ciascuna forza politica costituisce un grave pericolo. Di ripartire da zero, dissipando e disperdendo il cammino fatto sinora, sulla testa delle famiglie più povere, prima che il nuovo progetto possa essere approvato e poi applicato.
L’autore confronta il REI con il Reddito di cittadinanza e con il Reddito di dignità.
Attualmente il Rei non è ancora una misura adeguata di contrasto alla povertà, deve essere estesa a tutte le famiglie in povertà, la soglia di integrazione va implementata. Di positivo c’è che non è solo reddito, ma un progetto per l’autonomia, ove i servizi sociali territoriali condividono un percorso finalizzato all’inclusione sociale. Occorre che la nostra rete di servizi sociali esista e sia adeguata, in larga parte del paese non esiste.
Un impegno importante, necessariamente graduale in quanto occorre formare gli operatori e le modalità di intervento dei soggetti che erogano i servizi.
Il Reddito di cittadinanza prevede l’erogazione di una cifra fissa a tutti i cittadini, a prescindere dalla loro situazione reddituale e dalla volontà o possibilità di lavorare. Il finanziamento previsto dalla fiscalità generale. Insostenibile dal punto di vista finanziario. Crea un effetto disincentivante al lavoro causando al contempo una intollerabile pressione tributaria. Ai centri per l’impiego viene assegnata la funzione di controllo della condizionalità. Rispetto al Rei è molto più alto il livello di integrazione ed il sistema di calcolo
per individuare i beneficiari.
La proposta del Reddito di dignità è ampiamente indefinita.
L’autore conclude osservando che gran parte del lavoro amministrativo sono stati costituiti per l’attuazione del Rei, in nessun paese l’integrazione al reddito copre il 100% dei potenziali beneficiari. L’implementazione delle misure dovrà essere necessariamente diluita nel tempo e gradualmente pervenire ad un sistema coerente che minimizzi gli sprechi e le distorsioni, riqualificando le precedenti misure assistenziali per ottenere il miglior contrasto alla povertà ed il sostegno alle famiglie.
Category: 01 - Sconfiggere la povertà, Recensioni, Sostenibilità Economica, Sostenibilità Sociale Tags: Libri, ortigosa, povertà, ranci, Recensioni, reddito di cittadinanza, rei
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